Gradara e la storia di Paolo e Francesca

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La vicenda di Paolo e Francesca è molto lacunosa sotto il profilo storico. Poche sono le informazioni biografiche sui protagonisti che però sono sicuramente esistiti. Tantissime invece sono le versioni letterarie da Dante, Boccaccio, Petrarca, Silvio Pellico e D’ Annunzio che hanno arricchito la narrazione con particolari di grande fascino, confondendo storia e leggenda.

La versione di seguito riportata si ispira al mito letterario che individua Gradara come possibile scenario del tragico amore.

C’era una volta una nobile fanciulla chiamata Francesca…
Potremmo iniziare così il nostro racconto, ma non è una favola, bensì una storia vera e drammatica.

Paolo e Francesca sono due personaggi realmente esistiti e non figure romantiche come Giulietta e Romeo nate dalla geniale fantasia di Shakespeare.

Francesca da Polenta era figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia “…siede la terra dove nata fui, sulla marina dove ‘l Po discende…..” e lì viveva tranquilla e serena la sua fanciullezza, sperando che il padre le trovasse uno sposo gradevole e gentile.

Siamo nel 1275 e Guido da Polenta decise di dare la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta (detto Giangiotto Johannes Zoctus – Giovanni zoppo) che lo aveva aiutato a cacciare i Traversari, suoi nemici. Il capostipite, Malatesta da Verucchio detto il Mastin Vecchio o il Centenario, concorda ed il matrimonio è combinato. Fu detto a Guido:

“-…voi avete male accompagnato questa vostra figliuola, ella è bella e di grande anima, ella non starà contenta di Giangiotto… Messer Guido insistette: – Se essa lo vede soltanto quando tutto è compiuto, non può far altro che accettare la situazione”.

Per evitare il possibile rifiuto da parte della giovane Francesca i potenti signori di Rimini e Ravenna tramarono l’inganno.

Mandarono a Ravenna Paolo il Bello “piacevole uomo e costumato molto”, fratello di Giangiotto. Francesca l’aveva visto “…fu una damigella di là entro, dimostrato da un pertugio d’una finestra a madonna Francesca, dicendole – madonna, quegli è colui che dee esser vostro marito – e così si credea la buona femmina, di che madonna Francesca incontamente in lui pose l’anima e l’amor suo…”
Francesca accettò con gioia ed il giorno delle nozze, senza dubbio alcuno, pronunciò felice il suo “sì” senza sapere che Paolo la sposava “artificiosamente” per procura ossia a nome e per conto del fratello Giangiotto. “…non s’avvide prima dell’inganno, che essa vide la mattina seguente al dì delle nozze levare da lato a sè Giangiotto…” Pensate alla sua disperazione!

Ma ben presto si rassegnò, ebbe una figlia che chiamò Concordia, come la suocera, e cercava di allietare come poteva le sue tristi giornate. Paolo, che aveva possedimenti nei pressi di Gradara, sovente faceva visita alla cognata e forse si rammaricava di essersi prestato all’inganno!

Uno dei fratelli, Malatestino dell’Occhio, così chiamato perché aveva un occhio solo “ma da quell’uno vedeva fin troppo bene”, spiando, s’accorse degli incontri segreti tra Paolo e Francesca.

Ed eccoci all’epilogo della nostra storia: un giorno del settembre 1289, Paolo passò per una delle sue solite visite e qualcuno (forse Malatestino “quel traditor”) avvisò Giangiotto.

Quest’ultimo che ogni mattina partiva per Pesaro ad espletare la sua carica di Podestà, che per maggior equanimità non doveva avere appresso la famiglia, per far ritorno a tarda sera, finse di partire ma rientrò da un passaggio segreto e… mentre leggevano estasiati la storia di Lancillotto e Ginevra, “come amor li strinse” si diedero un casto bacio (questo è quello che Dante fa dire a Francesca!) proprio in quell’istante Giangiotto aprì la porta e li sorprese. Accecato dalla gelosia estrasse la spada, Paolo cercò di salvarsi passando dalla botola che si trovava vicino alla porta ma, si dice, che il vestito gli si impigliasse in un chiodo, dovette tornare indietro e, mentre Giangiotto lo stava per passare a fil di spada, Francesca gli si parò dinnanzi per salvarlo ma… Giangiotto li finì entrambi.

Dante mette gli sventurati amanti all’inferno perché macchiati di un peccato gravissimo, ma li fa vagare assieme: oltre la pena, che non abbiano anche quella della solitudine eterna. “…io venni men così com’io morisse; e caddi come corpo morto cade”.

Gli sventurati amanti vengono così immortalati da Dante nella Divina Commedia – V canto dell’Inferno. Nel corso dei secoli poeti, musicisti, letterati, pittori e scultori si sono ispirati alla tragedia di Paolo e Francesca (da Pellico a D’Annunzio, da Zandonai a Scheffer, ecc.) ed ancor oggi la loro storia d’amore, avvolta in un alone di mistero, affascina migliaia di persone.

(Fonte: www.gradara.org)

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