di Riccardo Cecchini
L’attuale concettualizzazione di Lilith nell’occultismo moderno è influenzata soprattutto dalla sua rappresentazione biblica e da quella mistico-ebraica, che a loro volta presumibilmente attingono dalla “Lilit mesopotamica”.
Lilit, nella cultura sumero-accadica, è famosa perché è la vergine-fantasma spodestata dall’eroe Gilgamesh nel mito di Inanna, Gilgamesh e gli Inferi: essa infatti aveva preso dimora nell’albero Huluppu assieme al serpente che non teme magia e all’aquila Anzu.
Questo è l’unico racconto mitico, nel complesso della letteratura sumero-accadica, in cui il personaggio Lilit viene citato (il mito è stato pubblicato per la prima volta da Kramer nel 1938). Lilit è citata inoltre in numerosi scongiuri (e maledizioni) sumeri e accadici, come ad esempio nel testo del rituale Bit rimki, nel ciclo Ki-dingir utu-Kam e nel rituale, citato nel Manuale dell’esorcista, come meseru.
Lilû (sumerico lú-líl-lá, líl-lá-en-na), Lilitu (sum. munus-líl-lá, Ki-sikil- líl-lá) e Ardat-lilî (sum. Ki-sikil-líl-lá, Ki-sikil-UD.DA-Kar-ra) sono una famiglia di demoni. I loro nomi derivano probabilmente dal sumerico “líl” (“alito di vento, spirito”). Sulla base del nome, dovevano essere in origine demoni della tempesta. I tre demoni sono citati insieme negli scongiuri sumerici d’epoca tarda.
Il Lilû, anzitutto, è il demone della lussuria, che abusa furtivamente delle donne durante la notte. Esso non ha moglie, non ha un letto su cui riposare e si aggira impetuosamente nei luoghi desolati (è considerato difatti un demone della steppa), divorato da inestinguibili desideri sessuali. Lo si teme, in particolare, al momento del parto, per il male che potrebbe arrecare alla partoriente o al nascituro.
Inoltre Lilitu è probabilmente la personificazione femminile del Lilû. Non ha marito, e si unisce con lussuria agli uomini nel loro sonno. Un testo babilonese la descrive come “strangolatrice di
bambini”; un incantesimo di Nippur la ricorda in connessione con la morte dei neonati e l’«incantamento» delle giovinette. Da Lilitu deve derivare l’ebraica Lilith. Questa è però più affine ad Ardat-lilî (la quale a sua volta solo secondariamente si differenziò da Lilitu)
Una maggiore dovizia di particolari si osserva nella descrizione di Ardat-lilî (Ki-sikil-líl-lá). Compare nel mito già citato: Inanna, Gilgamesh e gli Inferi. Solo in testi tardi si differenzia da Lilitu come terzo elemento della famiglia. In uno scongiuro accadico d’età paleo-babilonese fa parte del seguito di Lilitu. Da Ardat-lilî deriva la Lilith siro-ebraica#. Sarebbe una donna molto bella, che tenta gli uomini nelle strade, suscitando la loro lussuria e lasciandoli poi insoddisfatti. È detta la “Mano di Ishtar”,poiché agisce per comando di questa dea; non ha marito, né mai è stata madre, né si comporta come le altre ragazze: è infatti incapace di una sessualità normale, è vergine e non ha latte. Perseguita gli uomini (specie giovani) con le sue charmes, e una serie di testi ci informano che il termine hâru, “sposare”, si usava appunto per indicare i suoi assalti malefici.
Come appare chiaro da questa pur breve descrizione, Lilû, Lilitu, e Ardat-lilî contribuiscono, nel loro insieme, a definire una ben determinata realtà esistenziale: quella dei rischi connessi con l’istinto sessuale, con la fecondità ed il potere generativo. Ovunque essi compaiono è infatti possibile stabilire una serie di correlazioni con la sfera sessuale e materna. Mestruo, fecondità, parto, desideri sessuali, natalità sono i termini della realtà umana in cui essi agiscono e sono potenti, realtà sempre significativamente caratterizzata nei suoi aspetti più negativi.
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