Fattorie e allevamenti nel mezzo del deserto del Sahara di 7.000 anni fa: nuovi reperti confermano per la prima volta la presenza di antichi insediamenti di pastori ‘pittori’ in grado di lavorare il latte di mucca per renderlo ‘tollerabile’ producendo burro, yogurt e formaggio. Lo studio che si e’ guadagnato la copertina della rivista Nature, e’ coordinato dall’universita’ britannica di Bristol e vede l’importante partecipazione delle universita’ di Milano e Sapienza di Roma. La ricerca si basa su una nuova tecnica di analisi che ha permesso di individuare contenuto e data di origine dei residui conservati in alcune ceramiche. ”Siamo riusciti a identificare la funzione e datare alcuni piccoli frammenti ritrovati nel Sahara”, ha spiegato Savino di Lernia, dell’universita’ Sapienza e uno dei responsabili dello studio. ”Si trattava di contenitori utilizzati per la lavorazione del latte e sono i piu’ antichi reperti di questo tipo ritrovati in Africa”. Le analisi hanno permesso di stabilire che risalgono al 5200 a.C. i residui dei materiali grassi dovuti alla trasformazione in burro, yogurt o formaggio. Cio’ significa che slitta molto indietro nel tempo l’epoca nella quale sono nati i primi villaggi di agricoltori e allevatori e suggerisce inoltre che il latte potesse essere cosi’ consumato, nonostante l’intolleranza al lattosio di quelle popolazioni.
”Abbiamo sempre immaginato esplicative – ha proseguito di Lernia – l’esistenza di attivita’ pastorizia testimoniata da alcune immagini rupestri molto, ma fino ad ora non si era trovato il modo di datare questi allevamenti, e non era inoltre possibile conoscere l’uso di questi animali”. Il ricercatore italiano ha infatti spiegato che esistono ancora oggi popolazioni nomadi che praticano l’allevamento ma che, come molte altre popolazioni, risultano intolleranti al lattosio. Di queste popolazioni solo poche lo lavorano per renderlo piu’ digeribile, come avveniva in questo villaggio di 7.000 anni fa, mentre molti altri ne sfruttano solo carni e pelli.
”Ci tengo a sottolineare – ha concluso Savino di Lernia – che lo studio non e’ stato frutto di una scoperta casuale di un bellissimo fossile, ma il frutto di un lungo studio, una ricerca continua fatta di collaborazioni importanti, e possibile anche per il supporto di validi ricercatori precari”.
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