Tommaso Campanella, la Città del Sole

L’autore immagina un dialogo tra un cavaliere di Malta detto Ospitalario e un ammiraglio genovese che ha appena fatto un viaggio intorno al mondo, in cui ha visitato la “Città del Sole” collocata sull’isola di Taprobana (forse da identificare con Ceylon) presso la linea dell’equatore. Il navigatore descrive questo Stato come un regime egualitario, governato da un sacerdote detto “Sole” o “Metafisico” che regola la vita di ognuno e dove, soprattutto, i beni sono in comune e non esiste la proprietà privata, fonte secondo Campanella di avidità e corruzione. Il testo si inserisce nella tradizione della letteratura utopistica del XV-XVI sec. e trova i suoi modelli sia nella “Repubblica” di Platone, sia nell’ “Utopia” di Tommaso Moro.

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OSPITALARIO Or dimmi degli offizi e dell’educazione e del modo come si vive; si è republica o monarchia o stato di pochi. [1]
GENOVESE Questa è una gente ch’arrivò là dall’Indie, ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori [2] e d’altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma essi l’usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense [3], onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna. Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l’amor proprio; ché per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l’amor proprio, resta il commune solo.
OSPITALARIO Dunque nullo vorrà fatigare [4], mentre aspetta che l’altro fatighi, come Aristotile dice contra Platone.
GENOVESE Io non so disputare, ma ti dico c’hanno tanto amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, più che si dice delli Romani [5], quanto son più spropriati. E credo che li preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l’ambizione di crescere più a dignità, seriano [6] più spropriati e santi e caritativi con tutti.
OSPITALARIO Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan piacere l’un l’altro.
GENOVESE Anzi grandissima perché è bello a vedere, che tra loro non possono donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune, e molto guardano gli offiziali, che nullo [7] abbia più che merita. Però quanto è bisogno tutti l’hanno. E l’amico si conosce tra loro nelle guerre, nell’infirmità, nelle scienze, dove s’aiutano e s’insegnano l’un l’altro. E tutti li gioveni s’appellan frati [8] e quei che son quindici anni più di loro, padri, e quindici meno figli. E poi vi stanno l’offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa all’altro far torto nella fratellanza.
OSPITALARIO E come?
GENOVESE Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l’offiziale: ci è un che si chiama Liberalità, un Magnanimità, un Castità, un Fortezza, un Giustizia, criminale e civile, un Solerzia, un Verità, Beneficienza, Gratitudine, Misericordia, ecc.; e a ciascuno di questi si elegge [9] quello, che da fanciullo nelle scole si conosce inclinato a tal virtù. E però, non sendo tra loro latrocini, né assassinii, né stupri ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si accusano d’ingratitudine, di malignità, quando un non vuol far piacere onesto, di bugia, che abborriscono più che la peste; e di questi rei per pena son privati della mensa commune, o del commerzio [10] delle donne, e d’alcuni onori, finché pare al giudice, per ammendarli.
[1] Oligarchia.
[2] Il Gran Mogol, sovrano islamico nell’India del XVI sec.
[3] Dei funzionari provvedono a distribuirle.
[4] Nessuno vorrà lavorare.
[5] Sono più patriottici degli antichi Romani. [6] Sarebbero.
[7] Nessuno.
[8] Fratelli.
[9] Si sceglie.
[10] Del rapporto.